Gastone Panciera nel suo studio

Gastone Panciera (1908 -1991) inizia, da giovanissimo, la sua formazione nella bottega paterna a Vicenza. La famiglia possedeva sui colli Berici le cave da cui si estraeva la tipica pietra di Vicenza e qui aveva il laboratorio nel quale si realizzavano decori, fregi e sculture. Il lavoro, in questo ambiente operoso, gli offre l’opportunità di acquisire quel senso plastico che, dopo le prime esperienze artigianali, gli permette di dialogare con qualsiasi materiale.

Frequenta l’Accademia di Belle Arti a Venezia e a Milano e inizia ad esporre in rassegne nazionali e internazionali. Il suo percorso artistico attraversa complessi e difficili periodi storici, dalle due guerre mondiali e dal condizionamento del regime, agli anni della libertà e della ricostruzione. Contribuisce alla sua esperienza formativa, negli anni giovanili trascorsi a Vicenza, l’adesione a una compagnia di giovani legati soprattutto alla figura di Neri Pozza, ovvero Dino Lanaro, Italo Valenti e Antonio Barolini che manifestavano un desiderio di libertà e di ricerca in nuove espressioni artistiche. Quando alla fine degli anni ‘30 molti di loro, fra cui anche Gastone Panciera, si allontanarono da Vicenza, il poeta Barolini scrisse il libro di versi “La gaia gioventù e altri versi agli amici”, a testimonianza della loro amicizia e dei loro ideali.

Divide la sua attività di scultore fra Vicenza, dove realizza il grande bassorilievo per il Villaggio della madre e del bambino e alcuni interventi per l’edilizia privata, in collaborazione con il fratello Tullio, architetto, e Milano dove si stabilisce negli anni ‘40. A Milano conosce e frequenta le figure più rappresentative della cultura del periodo come i poeti Sereni, Gatti e Quasimodo, lo scrittore Joppolo, gli artisti Sassu, Manzù, Marini, Treccani e i critici De Micheli e De Grada aderendo al Movimento di “Corrente” fin dal 1938. Partecipa alle prime due mostre del Movimento, nel 1938 e nel 1939, operando per il superamento della retorica di regime e del conformismo novecentesco con una produzione scultorea di dimensioni ridotte e tematiche appartenenti alla dimensione domestica. Nel 1937 per la sua attività antifascista viene arrestato nel suo studio a Milano e incarcerato a San Vittore, insieme ad altri artisti fra cui Italo Valenti e Aligi Sassu.

Donna ferita a cavallo

Premio Saint Vincent 1948

Condivide lo studio con Renato Guttuso e stringe amicizia con il critico teatrale Beniamino Dal Fabbro con il quale rimane in contatto tutta la vita e che gli trasmette la passione per il teatro. Nel 1938 viene invitato alla Biennale di Venezia dove espone un ritratto ed è ancora presente nel 1940. Dopo la pausa bellica è chiamato ad esporre nuovamente alla Biennale nel 1948, con un bronzetto “Pantomima” e vi partecipa successivamente nel 1950 e nel 1952 con tre opere. Nel 1954 vi espone ancora con tre lavori in pietra e terracotta su un tema che sarà dominante nella sua arte, ovvero la figura femminile e il cavallo. E’presente anche all’Esposizione Quadriennale di Roma del 1939, del 1947 e del 1951. Con un piccolo bronzetto di “Donna ferita a cavallo”, nel 1948, vince il Premio Saint Vincent per la scultura e con una composizione pensile in gesso, nel 1951, partecipa all’allestimento dell’atrio della IX Triennale Internazionale di Milano. La IX Triennale vide la confluenza delle arti decorative nel design e il dialogo con il mondo della produzione industriale in linea con lo spirito degli artisti del dopoguerra di tracciare nuove direzioni e collaborazioni con le diverse espressioni artistiche. Lo stesso gruppo pensile viene esposto alla mostra “Scultura nell’architettura” a Sydney nel 1957, a Edimburgo alla Royal Scottish Accademy e all’Esposizione Internazionale di Scultura a St Louis nel 1959, promosse dalla Triennale di Milano.

Nudo all'aria

Esposto alla XXVI Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia

Negli stessi anni è invitato a importanti manifestazioni internazionali di scultura all’estero: in Olanda, nel 1955 e nel 1958, con alcune opere all’Esposizione di Scultura all’aperto nel parco di Sonsbeek, a Arnhem, in Australia a Sydney e in Brasile a Rio de Janeiro. Nel 1953 realizza la grande statua in pietra calcarea per il Monumento ai caduti, progettato da Mario Tozzi sul lungolago di Suna, Verbania.

Le opere degli anni ‘40 e ‘50 risentono del clima tragico dell’esperienza bellica, come il bronzo “Le Deportate”, il gruppo “Donna caduta e cavallo” e le composizioni di numerosi disegni nei quali si sente l’eco di un popolo che aspira alla liberazione dello spirito dalle costrizioni del periodo storico.

Figura

gesso, anni '50

Ragazza nera con gallo

bronzo, 1964

Negli anni post bellici la scultura acquista maggior serenità e ben presto la carriera artistica di Gastone Panciera prende un cammino autonomo.

Insegna al Liceo Artistico di Brera e, successivamente, all’Accademia Albertina di Torino e all’Accademia di Belle Arti di Brera.

La fine della guerra significò frontiere aperte nel campo della cultura europea e gli artisti si accorsero del tempo perduto. Questo percorso, comune a tanti Maestri della sua generazione, nasce da una nuova sensibilità verso altre forme artistiche, favorito dall’uscita dal provincialismo della cultura di regime. Gli artisti assimilano l’estetica del Cubismo ma anche di quelle culture che hanno ispirato la nascita di quel movimento: l’arte africana e l’arte arcaica e orientale.

In questa prospettiva va letta la scelta di parte della cultura occidentale dei primi anni del secolo scorso, orientata alla riscoperta del “primitivo” che, in Gastone Panciera, si manifesta attraverso forme slanciate e dinamiche portate all’essenziale. Interessato alle espressioni primordiali caratterizzate dalla verticalità del corpo ne varia la gestualità con il movimento delle braccia o associando alla figura umana verticale il cavallo, un elemento diagonale che diviene uno dei soggetti prediletti della sua espressione artistica. Studia e approfondisce l’arte delle culture preromaniche, soprattutto la scultura etrusca e greca, scrive un saggio sull’arte di Tanagra, che ben riflette la sua concezione di una scultura lontana dal monumentalismo, vicina invece a soluzioni più intimistiche ed essenziali.

Come scrive Mario De Micheli “da una felice partenza naturalistica è andato via via spostandosi verso un arcaismo di vaga ascendenza nuragica, subendo a un certo punto il fascino di una certa plastica orientale”.

Contemporaneamente alla scultura l’artista si dedica alla realizzazione di disegni su carta che da semplici bozzetti diventano spesso opere autonome: disegni a china, a tempera o acquerellati. I soggetti prediletti sono i cavalli e figura umana, la pantomima o la ballerina, tracciati da un segno agile e danzante che li deforma e spesso li costringe a fantastiche contorsioni. L’arte del mimo di Marcel Marceau, ovvero la pantomima, un’arte universale che non conosce le barriere della lingua, al pari della scultura, diventa fonte di ispirazione come pure la danza ispirata dalla presenza sulle scene di Josephine Baker che ritroviamo nella scultura in bronzo “Ragazza nera con gallo” del 1964.

Figura sullo scoglio

bronzo

Figura

terracotta

Nella scultura sperimenta materiali diversi, la pietra come il marmo di Carrara, ma anche la terracotta, le fusioni in bronzo e i numerosi legni, molti dei quali recuperati da radici e tronchi d’albero. E’ in grado di passare da un materiale plastico all’altro senza che la matrice espressiva perda coerenza e consistenza. Realizza numerosi interventi di arredo in ceramica per le abitazioni, dai vasi ai bassorilievi, alle formelle, esprimendo fantasia e armonia nella policromia.

Negli anni ‘60 la scultura dell’artista vira verso un approfondimento dei metodi creativi cubisti e costruttivisti: Gastone Panciera si cimenta in opere di piccole dimensioni caratterizzate da un rigoroso cubismo geometrico. Opere di questi anni vengono esposte in una esaustiva mostra alla Galleria Traverso a Milano nel 1964, insieme a tre grandi sculture in gesso “Indossatrici” e “Figure sullo scoglio”, sorta di donne-lucertola stregate dal sole.

Dagli anni ‘70 si dedica anche alla pittura con “una immaginazione che sa radunare freschi colori in metafore più ricche, in giardini dove sembra che le vecchie solitarie sculture si incontrino come le anime nelle vallette purgatoriali della Commedia” (M. De Micheli). Gastone Panciera non ha mai rinunciato all’immagine, anche quando si è mosso ai limiti della figurazione, come in alcuni disegni quasi astratti o in alcune sculture degli anni ’60. I dipinti, come le terrecotte degli anni ‘80, sono come le sculture del dopoguerra, libere da ogni soggezione, frutto di una fantasia che gli ha sempre consentito di operare autonomamente, senza alcuna dipendenza. Nell’interesse per la pittura, maturata in questi ultimi anni, s’insinua anche una certa atmosfera surrealista d’impronta lirica. I dipinti sono esposti insieme ad un nucleo di sculture nella mostra, presentata da Mario De Micheli, che la Fondazione Corrente gli dedica nel 1983. Nel 1985, a Palazzo Reale a Milano, si tiene la mostra “Gli anni di Corrente” e Panciera vi partecipa con una serie di opere in bronzo e disegni a china degli anni ‘39 e ‘40.

Testimonianza completa del suo lavoro la troviamo nella mostra antologica postuma che il Museo d’Arte Moderna di Gallarate gli dedica nel 1998, con opere dal 1941 al 1985. Sempre nello stesso anno, la sua città d’origine, Vicenza, gli rende omaggio ricordandolo a 90 anni dalla nascita, con una mostra allo Studio d’arte Valmore.

Come ha sintetizzato, nel 2001, Alberto Veca nel catalogo della mostra alla Galleria Superficie Anomala “Quella di Panciera, indipendentemente dalle stagioni espressive che può aver conosciuto, è scultura civile, in cui il soggetto svolge un ruolo di indicatore di temi che appartengono al pubblico, alla sfera dei valori che sono comuni a tutti, alla sua urbana convivenza. E’ compito dell’artista riscattare quanto è naturale, quotidiano, proprio perché tale non ovvio come per uno sguardo comune, disturbato da altre appariscenze, distratto dalla rassicurante ovvietà”.